Aug 16 2011

Barga riprenderà

Questo articolo, scritto da Bruno Sereni nel 1945, testimonia come le campane del Duomo abbiano sancito la rinascita della nostra città, segnata da lunghi mesi di guerra.

BARGA RIPRENDERA’

Articolo estratto da “La Gazzetta del Serchio” del 4 maggio 1945

 

 

 

Le notizie che arrivavano a Barga, portate da coloro che di frodo giungevano al piano e toccavano Lucca, erano confortanti quanto mai: “gli Alleati hanno preso Massa, Avenza, Carrara; I Tedeschi si ritirano”.

Ma intanto a Barga continuavano a cadere come per il passato le granate che scoperchiavano i tetti e smozzicavano i cantonali delle case.

“Di qui non se ne vanno!” esclamava le gente stanca, sfiduciata, demoralizzata.

“Dai nostri monti non andranno più via! Coraggio, coraggio, sono le ultime”, facevano animo quei pochi che in sette mesi di fronte, sembravano i più indifferenti, i più insensibili ai pericoli che sovrastavano.

Gli ultimi giorni di cannoneggiamento furono tali da far dimenticare le giornate di Natale1.

Centinaia di granate piovvero su Barga da tutte le parti.

Contemporaneamente si udiva esplodere sul Piangrande, altri colpi scoppiavano sul Castello, altri sotto alla Ripa, altri ancora nell’area della Bellavista.

Pareva un uragano di fuoco!

Fortuna che i Barghigiani avevano al loro attivo sette lunghi mesi di allenamento.

Dal sibilo sapevano riconoscere la provenienza e il calibro del proiettile.

Rintanati nei fondi delle cantine, uomini, donne, vecchi, ragazzi silenziosi, con gli occhi dilatati e le orecchie irte, aspettavano la fine, la fine di quel concerto.

Ed ecco che i colpi verso il mercoledì sera alle otto andarono diminuendo, si fecero più radi, si distanziarono di minuti gli uni dagli altri, smisero del tutto.

Per tutta la notte Barga e i paesi circonvicini, al di là della Corsonna, e sulla Valle del Serchio, rimasero avvolti nel silenzio, confortati da un cielo stellato, illuminato dai raggi d’una pallida luna.

I Tedeschi erano fuggiti oltre Castelnuovo.

Eravamo liberi ed ancora non lo sapevamo.

L’artiglieria Alleata che si trovava a Loppia, a Filecchio, a Fornaci, ebbe l’ordine di spostarsi in avanti.

Allora, adagio, adagio, timidamente, ma sempre titubanti ed indecisi, i Barghigiani cominciarono a guardarsi negli occhi: “Che sia proprio vero questa volta?”

“Il cannone non si sente più! Non si sente più!”

E volemmo essere felici, esultanti, ma ci mancò la forza tanto eravamo estenuati, sfiniti, da sette mesi di febbre!

Soltanto verso il pomeriggio del venerdì si vide qualcuno che girava per il paese facendo zig-zag.

Dai paesi della piana di Lucca, a piedi, in bicicletta, con mezzi di fortuna, cominciarono a giungere i fuggiaschi di Natale, e quelli che scapparono ai primi colpi di mortaio, ritornarono e rimasero allibiti.

Avevano lasciato il paese quasi intatto e lo trovavano ferito, mutilato, con ciottoli di embrici e di mattone accatastati per ogni dove, che sembravano pezzi di carne arrossata dal sangue.

E cercarono una casa,una stanza, un fondo, magari una capanna, o un metato, perché se era stato duro vivere a Barga sotto le bombe, come sfollati avevano sofferto la loro parte.

A poco a poco il paese andò animandosi e man mano il numero dei cittadini cresceva; il passo, il comportamento, la sicurezza fisica dello scampato pericolo, si andava irrobustendo.

Anche l’orologio del Duomo si scosse dal suo lungo torpore, si scrollò di dosso sette mesi di sibili, di scoppi, e con i suoi allegri rintocchi ci disse: Siamo sempre vivi!

E mentre commossi ascoltavamo i quattro quarti rintoccati a breve distanza gli uni dagli altri, per un attimo soltanto, rivedemmo nel pensiero, il Piacenza con un carretto accompagnato dal Cappellano portare un morto alla sepoltura.

Dove? Ogni luogo riparato dai colpi di mortaio era buono.

La febbre era ora passata, ma un’atonia fisica e morale aveva lambito il nostro spirito depresso e poco durò la gioia per le ore suonate dalla nostra massima torre.

Bisognava rianimare questo popolo che per lunghi mesi, al lume affumicante della benzina, era stato a colloqui con la morte; bisognava rincuorare coloro che tornavano dalla pianura, bisognava assemblarli tutti, per confondere insieme le loro pene, i loro dolori, al fine di rimetterli in cammino.

E dalla massima torre del Castello le campane suonarono a distesa: erano le campane della vecchia Barga che annunciavano per un raggio di chilometri che domani, domenica, al Duomo, c’era il triduo di ringraziamento al Signore.

E dalla montagna scesero giù i nostri bravi e magnanimi montanari, dal piano vennero su gli operai, gli artigiani e tutti insieme ci riversammo al Duomo.

E dall’altare maggiore illuminato da grossi ceri, attorniato da sacerdoti officianti, il Prevosto Monsignor Lombardi, con voce accorata, che sapeva di lacrime e di sofferenze, parlò; parlò ai presenti con il pensiero rivolto alle vittime innocenti che la guerra aveva mietuto per la nostra contrada.

“Barga riprenderà”.

E quel “Barga riprenderà”, ripetuto continuamente, era un rintocco nel cuore di ognuno e lo scuoteva dalla sua atonia e lo portava in contatto diretto con la vita che reclama i suoi diritti, con la natura che conosce limiti di tempo.

“Barga riprenderà”, e mentre così Monsignore esortava, le teste degli uomini si abbassavano stanche sul petto e ognuno pensava agli assenti, a quelli che lo saranno per sempre e a quelli che tutti speriamo di abbracciare presto.

“Barga riprenderà”,  e noi guardammo il cielo dagli squarci del tetto e posammo poi lo sguardo sulle belle finestre a colori, alcune delle quali ferite dalle schegge.

Gli accordi dell’organo s’innalzarono per le volte e arrivarono al cielo attraverso gli squarci del tetto sconquassato.

Le donne s’inginocchiarono; era cominciata la preghiera dei morti.

Gli uomini chinarono il capo ancora di più e le vittime innocenti di Barga, sembrava fossero presenti in questo canto di preghiera e di perdono.

Le campane ripresero a squillare, ma questa volta  esse dicevano una parola nuova a tutti che si sperdeva nell’aria, perciò diventava eterna.

“Barga riprendera!”

Sull’Aringo alto e splendente batteva il sole.

 

Bruno Sereni

 

 

1-      Natale, fa riferimento alla controffensiva tedesca del 26 dicembre 1944, nei giorni seguenti, Barga, Albiano, ma soprattutto Sommocolonia avevano subito devastanti bombardamenti da parte degli alleati impegnati ad arrestare l’avanzata nemica.